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Mittwoch, 23. Januar 2013

Aber die Welt wird von denen gerettet, die nichts tun!


Gestern habe ich einen schönen Artikel von Martin Grichting gelesen, der auf kath.net am 20.01.2013 veröffentlicht wurde. Darin wird deutlich die Psychologie erklärt, die unter den "Mitarbeiter“  unserer Pfarreien weit verbreitet ist. Ganz besonders hat mich diesen Satz getroffen:

"Die Vision ist also nicht der Christ, der sich am Arbeitsplatz nicht als solcher zu erkennen gibt, dann aber abends im Kirchgemeindevorstand sein Christsein zu verwirklichen meint, indem er dem Pfarrer dreinredet."

Dieses Problem ist so alt ist wie die Erbsünde. Der Mensch, der gezwungen ist sich selbst zu verwirklichen, indem er versucht, „Jemand“ zu sein und wichtige Dinge zu tun. Dieser „Fluch“ steht über alle Bereiche des menschlichen Lebens, und ist die Quelle aller Konflikte auch innerhalb der Familien.

Aber Jesus hat für uns diesen Fluch gebrochen. Er hat sich erniedrigt, hat den Menschen über ihn walten lassen bis zu seinem eigenen Tod. Er hat gewartet, dass der Vater ihn erheben würde. Nun, als Getaufte, können wir wieder unser Christsein verwirklichen. Wie? So:



(Entnommen aus: LA FAMIGLIA CHE RAGGIUNSE CRISTO, di M. RAYMOND o. c. s. o, die Übersetzung kommt so schnell wie möglich… kann jemand helfen?)

TRENT'ANNI SULLA STRADA DEL RE


Nel 1113 l'Abate Stefano Harding aveva qualche dubbio circa la comprensione di Andrea a proposito della lezione che aveva cercato d'insegnargli, che cioè doveva guardare a Cristo, quando il fascino fosse sparito; ma nel 1143 a S. Stefano Harding non poteva restare più neppure l'ombra del dubbio; perché in quell'anno poteva guardar giù dal cielo e vedere uno dei suoi figli, che per trent'anni aveva camminato sulla via regale tracciata da Cristo, senza venir mai meno. Egli deve aver riso sentendo giungere fino in cielo l'eco delle risposte che Andrea dava a un vecchio cavaliere. Stefano aveva mandato Andrea insieme a Bernardo e agli altri suoi fratelli a fondare Chiaravalle. Bernardo l'aveva nominato portinaio del monastero, ed egli rimase portinaio del monastero dal 1114 al 1144. Tale incarico era peggio ancora che restare “nelle file”, com'aveva insinuato Stefano. Era ben lungi dall'essere un superiore; ma Andrea aveva fatto del suo ufficio ciò che Stefano gli aveva suggerito: una competizione con Gesù Cristo. Andrea non ne faceva un segreto, e con la sua franchezza fece stupire più d'un visitatore.

Nel 1143 un nobile signore attempato, dal passo lento ma sicuro e dal portamento eretto, dai modi rudi e autoritari che rivelavano il cavaliere, bussò alla porta di Chiaravalle. Fissò Andrea per un istante e poi domandò: - Mi riconosci?

— Se ti riconosco? - fu la risposta. - Sì, e ricordo ogni tua particolarità. Miri ancora al cuore per poi colpire alla visiera?

Il cavaliere rise e stendendo la mano al monaco disse:
— Andrea di Fontaines, sono felice di rivederti.
— E Andrea di Chiaravalle non è affatto spiacente di rivedere Carlo l'Imbroglione. Non vuoi entrare? Per il momento il nostro Abate è assente...
— Oh! Non voglio disturbarti, Andrea; sono in cammino per Troyes; ho viaggiato molto oggi e non sono più giovane come una volta. Sarò riconoscente se il monastero mi può dare ospitalità per questa notte.
— Per questa notte? Puoi fermarti una quindicina di giorni, se vuoi. Entra. Sii il benvenuto!
— Grazie. Ma non t'incomoderò per sì tanto tempo; ad ogni modo, giacché son qui, vorrei farti qualche domanda. La prima è questa: non ti sei mai pentito d'aver abbandonato la cavalleria?
Carlo intanto era entrato e s'era seduto, mentre Andrea faceva dei cenni ad un altro monaco perché si prendesse cura del cavallo del vecchio signore. Ad Andrea venne da ridere, pensando tra sé che trent'anni non avevano punto cambiato l'arrogante, spiritoso e sarcastico Carlo. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare una serie interminabile e domande imbarazzanti, a meno di riuscire a mettere l'ospite sulla difensiva; perciò chiese allegramente:
— Se un cavaliere di Borgogna va a Gerusalemme e resta là, cessa forse di esser cavaliere? O meglio ancora: quando Carlo l'Imbroglione va a Troyes, fuori del suo Ducato, cessa di essere Carlo l'Imbroglione?
— No! - rispose Carlo sicuro; - ma dove hai intenzione di condurmi?
— Da te. - II tono di Andrea significava che era preparato ad ogni eventualità, - Mi hai rivolta una domanda che dimostra che hai dimenticato l'assioma: Una volta cavaliere, cavaliere per sempre. Io non ho mai abbandonato la cavalleria, Carlo, per la semplice ragione che la cavalleria non può essere abbandonata. Essa non è una cerimonia o una semplice armatura di ferro che si porta esternamente. No! Essa è qualche cosa che cresce nell'interno, e che, una volta attecchita e maturata, non muore più. Non ti sei mai accorto, Carlo, che l'investitura a cavaliere è una specie di Battesimo? Imprime un carattere nell'anima stessa. Naturalmente, come vi sono dei cristiani che macchiano il loro carattere battesimale o lo lasciano offuscare, così ci sono dei cavalieri che continueranno a compiere azioni poco cavalleresche. Ma ciò non vuol dir nulla; l'impronta c'è ancora; resta sempre, Carlo, a loro onore o a loro disonore. Una volta cavaliere, cavaliere per sempre.
L'ospite cambiò posizione sulla sedia, mise un ginocchio sull'altro, appoggiò il mento sulla mano sinistra e infine disse: - Sì, e una volta tremendo parlatore, tremendo parlatore sempre. Quand'eri più giovane, eri pronto di lingua, e ora sei... A buon conto quanti anni hai Andrea?
— A contare gli anni, me ne mancano giusto due per fare mezzo secolo; ma a tenere conto di tutte le domande stupide che mi sono state rivolte, dovrei essere di qualche secolo più vecchio di Matusalemme.
— Vedo, signor Cavaliere, dal momento che sostieni di essere ancora un cavaliere. E giacché non ti piacciono le domande stupide, te ne farò una sensata. Non ti trovi pentito d'aver vissuto un'illusione?
Andrea aveva imparato molte cose nei trent'anni che aveva passati aprendo e chiudendo la porta di Chiaravalle; ma una delle più importanti fu quella di sapersi far subito un concetto dei suoi clienti, e di adattarsi pure prontamente a seconda degli individui, al loro atteggiamento. Aveva conosciuto in precedenza Carlo l'Imbroglione, e dalle due domande, che questi gli aveva rivolte, capì che la sua mentalità non era minimamente cambiata. Era ancora un beffardo. Perciò gli chiese con tutta calma:
Quale illusione, Carlo?
— Ma questo! Tutto questo! La vita che hai menato. Hai passato qualche anno in una palude, poi, ti sei sepolto in questa Valle dell'Assenzio, e la dici vita questa! Ma tu non sei mai vissuto! Questa non è una vita. Quest'è una morte! Sì, tu sei morto e lo sei da anni. Ogni volta che passo il castello di Fontaines, mi faccio il segno di Croce, per paura di venir stregato anch'io come te, i tuoi fratelli e anche il tuo nobil genitore. Oh, quella casa è spiritata tutta quanta! Dio non ha mai preteso che tu vivessi come sei vissuto. Mai più! Tu, cavaliere prima dei diciassette anni! E ora... che cosa sei stato in tutti questi anni? Io la chiamo un'illusione per essere cortese; ma per essere esatto, penso che si tratti di un'aberrazione.
— Hai ragione, Carlo - disse Andrea con tutta calma. - Aberrazione è, e illusione è stata. Ma, in altre parole, tu vieni a dire che io e la mia famiglia non siamo altro che una manica di pazzi. Non è così?
— Ebbene, a dirla schietta, sì! Che altro potrebbe dire di tutti voi un uomo che ha la testa sulle spalle?
— E i cinquecento e passa monaci che sono là dentro, nel monastero - domandò Andrea indicando con un gesto gli edifici più giù nella valle - sono tutti pazzi anche loro?
— Più di cinquecento? - balbettò Carlo; ma riprendendo subito il suo atteggiamento sprezzante, soggiunse: - Sì, se erano tutti nobili, com'eravate, tu e io tuoi fratelli.
— E che cosa siamo ora, Carlo? Dei servi?
— Quel che vuoi, ma nobili no di certo! I nobili non vivono così. Essi sanno che è Dio che ha stabilito i diversi gradi della società; ed essi restano nei gradi superiori dove Dio li ha posti. Questa vita è una degradazione; e Dio non ha mai voluto simili cose. Egli vuole che ci nobilitiamo, non che ci avviliamo.
— Davvero? - interloquì Andrea. - E allora come mai c'insegnò una lezione tutta diversa?
— Che vorresti dire? - chiese Carlo agitandosi sulla sedia.
— Ecco - replicò Andrea calmissimo; - Gesù ha detto: “Vieni e seguimi”, e quando noi accogliamo il suo invito, il primo luogo dov'Egli ci conduce è una grotta, rifugio di animali, e ci mostra Se stesso lì, tra un bue e un asinello. Ricordatelo, Carlo, che il Bambino di Betlemme è il Dio dei vivi e dei morti.
Andrea ora cominciava ad accalorarsi. - II secondo luogo, dov'Egli ci condurrà, sarà l'Egitto, una terra straniera; il che significa che esperimenteremo l'isolamento e l'esilio. Poi, di ritorno dall'Egitto, ci porterà a Nazaret, e quivi ci tratterrà, praticamente, per tutta la sua vita. Non hai mai pensato, Carlo, cosa voglia dire essere un Nazareno? Ciò non indica certo nobiltà come la concepisci tu. No, ncppur lontanamente! Significa esser guardati dall'alto in basso e disprezzati. E da questo paese disprezzato dove ci condurrà poi Cristo? Alla Croce dei malfattori, sulla collina rocciosa chiamata Calvario. Gesù Cristo, Carlo, è nato come un accattone ed è morto come un ladro. Sai perché? Sai perché? Per mostrare ai cavalieri la via della vera cavalleria, ai nobili la via alla vera nobiltà e a tutti gli uomini la via che conduce a Dio! Senti, Carlo: in questi ultimi trent'anni io raramente ho messo piede fuori di questo monastero e tuttavia io chiamo me stesso un camminatore. Senti? Un camminatore! Sì, io sono stato, per la maggior parte della mia vita, un camminatore sulla strada del Re. Chiamala illusione, se ti piace, o anche aberrazione; ma ammetti che è una felice illusione e una benedetta aberrazione, perché mi ha fatto inciampare nelle orme del Cavaliere dalla rossa Croce del Calvario, del Nobile dei nobili, dello stesso Figlio di Dio.
— Oh, stai contando un romanzo! Che cosa puoi dire di aver guadagnato in trent'anni, o uomo della strada?
— Quello che ha guadagnato Lui, dopo trentatré anni di viaggio: una coscienza pura, un cuore felice, una speranza di ricompensa, la soddisfazione di aver compiuto la Volontà del mio Padre Celeste.
— Parli come un fanatico.
— Parlo come un seguace di Gesù Cristo, come un cristiano, Carlo. Capisci? Un cristiano, un figlio adottivo di Dio, un fratello di Colui che viaggiò per i colli della Giudea e scrisse la storia del suo amore a caratteri di Sangue sul colle che chiamiamo Golgota.
Storia d'amore! Bah, dammi fatti, non storie!
Sto parlando del fatto più reale di tutta la storia Gesù Cristo, il Figlio di Dio ti ha amato, è vissuto per te si fece bambino per te, andò ramingo per te, divenne il figlio d'un falegname per te, taumaturgo della Giudea per te, e poi... e poi, Carlo, Egli si lasciò straziare e ridurre a un cadavere esangue per te! È questa la storia d'amore che fa di Chiaravalle la dimora della cavalleria, fa della sua illusione e aberrazione una sapienza, e rende i tuoi disprezzi degni di commiserazione. Ti compatisco, Carlo. Tu ora sei ben avanzato negli anni, eppure parli come se non conoscessi né te stesso né Gesù Cristo.
— Non preoccuparti di me - fu l'altera replica. - Io sto parlando di te. Tuo fratello Bernardo ha combinato qualche cosa. Per lo meno si è fatto conoscere. Questo genere di vita per lui è quello che ci voleva. Egli non sarebbe mai stato un cavaliere. Non ha corporatura. Ma tu e tutti gli altri? Ad ogni modo, che sorta di pazzia s'impossessò di voi per indurvi a seppellirvi vivi in questo luogo? Non si sente mai parlare di voi.
— Carlo, tu stai usando una misura falsa. La bravura non si misura con la lancia del cavaliere. No! Gesù Cristo ha cambiato tutto. Ora c'è solamente una verga di misura; una sola. Ed è la Croce di Cristo. Bernardo senza la sua fama sarebbe ancora un seguace di Cristo; io invece, col mio cavalierato, e solamente con quello, avrei anche potuto non esserlo.
Ma che ti fa ciò? Sei stato portinaio per trent'anni, hai detto. Che posizione per il figlio d'un nobile e per un cavaliere della prode Borgogna! E cosa hai fatto per i tuoi simili?
Andrea guardò fuori della finestra per vedere fin dove il sole proiettasse l'ombra del campanile della chiesa. La vide molto più verso Est di quanto s'aspettava; per cui, volgendosi rapidamente a Carlo, disse: - È molto più tardi di quanto pensavo. Perciò dovrò essere molto breve, Carlo, ma spero di non essere oscuro.
— Raramente tu sei oscuro, e quasi sempre sei breve - osservò il vecchio cavaliere.
— Ebbene - rispose Andrea, - tu hai fatto delle domande che mi sono molto familiari. Le ho sentite risuonare ad una ad una nelle mie orecchie, ripercuotersi nel mio cuore; chiamare a ritirata, domandare una risposta. Ed esse ebbero la loro risposta; perché un vecchio maestro; mi avvertì un giorno che avrei sentito tutte quelle domande e m'insegnò dove cercare la risposta. Forse ne hai sentito parlare anche tu; si chiamava Stefano Harding.
— Ricordo. Era l'Abate di Citeaux.
— Precisamente. Ebbene, egli mi disse che quando sarebbero venute simili domande, dovevo guardare la Croce e il Tabernacolo.; Lo feci e trovai le mie risposte, Carlo, Betlemme era oscura, Nazaret era oscura, e anche Gerusalemme era relativamente oscura; perché era Roma la padrona del mondo. Tuttavia Gesù Cristo salvò l'umanità in simile oscurità. Quando penso a ciò, non m'importa esser sepolto vivo. “Che cosa posso dire d'aver guadagnato in questi miei anni?” tu domandi. “Nulla!” è la risposta. Assolutamente nulla! Nulla che tu possa vedere, pesare, misurare e contare. Sì, io ho custodito questa porta per trent'anni e sul piano materiale ho ottenuto tanto quanto ha ottenuto Gesù Cristo nei suoi trentatré anni che visse sulla terra. Ma sul piano spirituale io spero d'aver guadagnato qualche cosa di simile a quello che ha guadagnato Lui. Sai che cos'è che ha guadagnato, Carlo? Ebbene, te lo dirò: la salvezza del mondo.
— Che? - balbettò Carlo.
— Sì, precisamente, la salvezza del mondo è il mio intento; perché, se non sbaglio nell'interpretare il Vangelo, il mondo vien salvato da coloro che non fanno nulla! Guarda l'annientamento della grotta di Betlemme! Guarda l'annientamento dei trent'anni di vita nascosta! Guarda l'annientamento della Croce! Dov'era Egli e che cosa faceva, quando avrebbe potuto andare predicando, insegnando e mostrando agli uomini la via per andare a Dio? A Betlemme, in Egitto, a Nazaret, risponderai. E quando era sulla Croce, che cosa fece? Predicò forse, insegnò? No! Egli pregò e soffri. Ecco tutto. Discese Egli dalla Croce, quando i Giudei lo provocarono a farlo? No. Vi rimase, finché vi mori. E, Carlo, guarda l'oscurità, il silenzio e l'annientamento del Tabernacolo! Non è spaventoso tutto questo? Eppure Egli salvò l'umanità col suo Presepio e con la sua Croce e santifica gli uomini col suo Sacramento. Io cammino sulle sue orme, Carlo. Qui ho silenzio, sofferenza, oscurità e preghiera. Con Lui, in Lui e per Lui, io sto combattendo per salvare il mondo. Sono un viandante sulla strada del Re dei re, e come tale, io intendo diventare un salvatore. Se io sono vittima d'un illusione, come tu dici, allora Cristo deve essere stato un sognatore! Penso che nemmeno Carlo l'Imbroglione oserebbe dir questo.
— No! No! - esclamò Carlo in tutta fretta. - Non dico questo. Mai più. E benché non comprenda appieno quanto sei venuto dicendo, devo però ammettere che parli come un uomo che è pienamente convinto della rettitudine della sua posizione..
— Tu non comprendi pienamente, Carlo, perché non hai mai studiato il Crocifìsso e prendi il Tabernacolo come qualche cosa di già scontato. Tu stenti a capire perché non sei mai stato penetrante. Ma vieni, ti condurrò in chiesa. Potrai assistere al canto dei Vespri e pregare la Luce del mondo a spandere luce sul Suo mondo.
— Cosa pretenderesti di fare? Che uno che è venuto per burlarsi, resti per pregare?
— Precisamente, Carlo, e vorrei chiederti di pregare per me. Prega che perseveri sulla via del Re e raggiunga Cristo.
— E che? Trovi ciò difficile?
— Eh, sì; sto sempre dicendo “Nunc coepi”. “Ora incomincio”; e devo accettare tutte e due le parole, l'avverbio e il verbo! Ma, Carlo, chiedi a Dio semplicemente che mi dia forza e coraggio per continuare a dire: “Nunc coepi” finché non arriverà l'ora di dire: “Nunc dimittis”; perché, se faccio questo, sono sicuro che il Re sarà soddisfatto del suo camminatore. Su, andiamo. - E uscì seguito da Carlo.

 

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